venerdì 19 novembre 2010

DOTTOR SCOTTI... Buoni i suoi fumi!!!

Non solo riso. Quelli della Scotti, a Pavia, si sono trasformati anche in trafficanti di monnezza. Anzi, peggio, i manager dell'azienda lombarda, quella degli spot del "dottor Scotti", hanno bruciato illegalmente rifiuti, anche nocivi e pericolosi, diffondendo fumi potenzialmente tossici nell'aria di Pavia e dintorni. E quel che restava l'hanno rivenduto ad aziende agricole e allevamenti di polli e suini.
Tutto questo per anni, almeno dal 2007 al 2009, e per quantità enormi, oltre 33 mila tonnellate. Sono queste le accuse che ieri hanno portato all'arresto di Giorgio Radice, presidente della Scotti energia e di altre sei persone, tra cui due tecnici di laboratorio, Marco Baldi e Silvia Canevari. Questi ultimi, secondo la ricostruzione degli investigatori, avrebbero fornito falsi certificati d'analisi che attestavano la conformità alla legge del combustibile da rifiuti utilizzato nell'inceneritore della Scotti energia, che è stato messo sotto sequestro. Quello di ieri, però, potrebbe essere solo il primo atto di un'operazione ancora più ampia.
L'ultimo della serie, del 5 luglio scorso, pubblicato da Repubblica con un titolo che è tutto un programma: "Scotti dai chicchi ai bit: il riso punta al Web". Niente rifiuti, quindi. Anche se, bilanci alla mano, è proprio la monnezza, bruciata nell'inceneritore e trasformata in energia, a garantire buona parte dei profitti del gruppo Scotti. Ma, si sa, qualche volta i rifiuti non fanno notizia. Soprattutto quando sono associati a un'inchiesta giudiziaria che alza il velo su traffici che mettono a rischio la salute pubblica. Quando poi l'azienda coinvolta investe ogni anno molti milioni in pubblicità, allora è proprio il caso di non sprecare spazio. Giù il sipario, il dottor Scotti esce di scena.




In principio era la lolla. E cioè lo scarto (biologico) della lavorazione di riso, che può essere bruciato per produrre energia. Per questo una decina di anni fa la Scotti costruisce un grande inceneritore a pochi passi dal più importante stabilimento del gruppo a Pavia. Trasformare biomasse (lolla) in energia rende molto, anche perché lo Stato (e quindi i cittadini che pagano bollette maggiorate) compra elettricità a prezzi di favore fissati dalla normativa cosiddetta Cip 6. Ed ecco, allora, la prima fonte di guadagno per la Scotti.
Dal 2005 al 2009 l'azienda pavese avrebbe ricevuto circa 25 milioni di fondi pubblici, senza però averne diritto. Già, perché a un certo punto la lolla è stata parzialmente sostituita da rifiuti di ogni sorta provenienti da impianti industriali e centri comunali di raccolta della nettezza urbana. E così nell'inceneritore sono finiti legno, plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione. Tutta monnezza che presentava concentrazioni di piombo, nichel, cadmio e altri metalli ben superiori ai limiti di legge.
A quanto sembra però nessuno si è mai accorto di nulla, fino all'intervento della magistratura. Ed è rimasto a lungo fermo e silente anche il Gse (Gestore servizi elettrici), cioè l'ente pubblico che compra l'energia prodotta dai privati per immetterla nella rete. Solo il 14 maggio dell'anno scorso il Gse ha disposto una verifica sull'inceneritore. Ma il primo esito negativo è stato successivamente corretto in senso favorevole. Via libera quindi, con l'inceneritore che ha continuato a inquinare l'aria di Pavia. Allarmi? Nessuno, perché anche la centralina di controllo dei fumi funzionava male e segnava valori così bassi da risultare inverosimili. A quanto sembra però alla Scotti non ci aveva fatto caso nessuno.

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