domenica 8 luglio 2012

Carnevale della chimica#19 la chimica del suolo: I FERTILIZZATI, ovvero come tutto ebbe inizio...


Con l'avvento della “nuova” società, dalla seconda metà del XIX secolo, anche in agricoltura, come già avvenne tempo prima per l'industria e l'economia, entra prepotentemente nella scena la "rivoluzione della chimica". Il “fare profitto” e “produrre massivamente”, però, non si accompagnava al settore rurale, sopratutto in ambiti, come l'Italia, in cui l'arretratezza delle tecnologie contadine si faceva sentire in maniera pesante. Si rese perciò necessario introdurre anche in questo settore degli “espedienti” che potessero migliorare di molto la “resa” dei terreni e dei campi.
Di certo la rotazione triennale dei campi, basata fondamentalmente sulla fissazione dell'azoto ad opera di batteri e piante sopratutto leguminose, non rappresentava un cavallo da battaglia per la creanda coltivazione intensiva. Subito si capì che era necessario ricorrere ad altri metodi per fertilizzare i suoli in maniera massiva e molto più efficiente. Il primo ad intuire ed interpretare questo “bisogno” dei terreni fu Justusvon Liebig, un chimico (...te pareva!) tedesco dalla storia moltocuriosa. Chimico di formazione, ma anche biochimico, biologo e agronomo  per necessità ed intelletto, fu proprio questo curioso personaggio che intuì per primo la necessità di “introdurre” azoto nel terreno al fine di renderlo più fertile e di rimbalzo più produttivo. Tutta la scienza agronomica si orientò quindi verso questo “dogma” presentato da Liebig. 

Il problema che nacque subito dopo fu la maniera di reperire l'azoto, al fine di trasformarlo con alcuni processi chimici ed ottenere il necessario per produrre fertilizzati agricoli. Mai come in questo caso si addice il proverbio per cui “si fa di necessità virtù”. Tutto il mondo agronomico, come era prassi fare si rivolse alla chimica per trovare una soluzione. Fu così che alcuni chimici iniziarono a rispolverare una parte di lavori svolta dal grandioso Cavendish, il quale nel 1781 bruciando idrogeno in aria, ottenne l'acqua sintetica che conteneva sensibili quantità di acido nitrico.  Nel 1786, sempre l'inglese, facendo scoccare rapidamente delle scintille elettriche, ottenute con l'ausilio di una macchina elettrostatica, in un recipiente contenente aria e un eccesso di ossigeno, constatò che tutto l'azoto presente nell'aria si era combinato con l'ossigeno. 
Fra questi chimici ve ne fu uno di particolare rilievo, inglese anch'esso, sto parlando di William Crookes. Crookes, con l'energia elettrica, ci sapeva fare, e la conosceva molto bene, per questo motivo, non gli fu difficile, constatare nel 1892, riprendendo le osservazioni di Cavendish, che l'azoto si combina perfettamente con l'ossigeno mediante l'impiego di un arco voltaico. Ottimo!, si pensò, il modo di produrre azoto industrialmente è nostro! Ottimo, ma un po' meno di ottimo, perchè si pose il grandissimo problema che, ai fini “laboratoriali” l'arco voltaico era facile e non dispendioso da produrre, ma la resa era davvero bassa, per traslare il processo dalla piccola alla grande scala era necessaria una grandissima quantità di energia elettrica.
Persino Walther Hermann Nernst ( si... quello dell'equazione e del filamento...) trovò la strada sbarrata alla produzione dell'azoto quando nel 1896 la ditta Siemens-Halske di Berlino tentò un'applicazione industriale del processo, senza riuscirvi. Ma del resto si sa, nelle scienze e nella chimica sopratutto le componenti necessarie sono l'accuratezza, il genio, la pazienza. Quest'ultima fu di grande importanza, perchè nel 1905, con lo sviluppo di nuove tecnologie, due norvegesi, il professor Byrkeland e l'ingegner Eyde: nel maggio di quell'anno, a Notodden, misero in funzione uno stabilimento che produceva HNO3, e da quello sostanze azotate, a partire dall'aria.
Il ragionamento e le reazioni chimiche alla base di tutto sono i seguenti:
  1. L'aria è un miscuglio di azoto (78%) e ossigeno (21%);
  2. Sfruttando l'arco voltaico è possibile combinare azoto e ossigeno per formare ossido nitrico;
  3. L'ossido nitrico poi reagisce ancora con ossigeno per dare biossido di azoto;
  4. Il biossido di azoto, assorbito in acqua, dà acido nitrico.




Il forno Byrkeland-Eyde per l'ossidazione dell'azoto atmosferico consisteva in un grosso tamburo di materiale refrattario (chamotte) rivestito di lamiera di ferro, Al centro del quale sono affacciate a circa 10 mm le estremità di due elettrodi cavi di rame, Tra gli elettrodi si produce un arco voltaico, alla tensione di 5000 V alternati, che sotto l'azione di due potenti elettromagneti viene allargato in forma di disco, chiamato sole elettrico, dal diametro di circa due metri. L'aria atmosferica aspirata entra nella camera del forno, costretta ad attraversare l'arco elettrico ad altissima temperatura (3000°C). Parte dell'azoto si combina con l'ossigeno per dare l'ossido nitrico. I gas in uscita dal forno vengono raffreddati per evitare la decomposizione di NO in azoto e ossigeno; successivamente NO era ossidato a NO2, veniva poi introdotto in torri di assorbimento di granito riempite di quarzo nelle quali pioveva acqua per formare l'acido.

 (CHIEDO DAVVERO PERDONO PER LA TAMARRAGGINE DI QUESTO VIDEO, ma bisogna riconoscere che si vede davvero bene il sole elettrico e l'acido nitrico nascente!)
Secondo quanto descritto, le reazioni sono
  • N2 + O2 → 2NO
  • 2NO + O2 → 2NO2
  • 3NO2 + H2O → 2HNO3 + NO
Si arrivò in questo modo a produrre acido nitrico, ovvero azoto disponibile per il terreni da fertilizzare. Successivamente l'acido nitrico veniva fatto reagire con sali contenti sodio, al fine di ottenere il sale Nitrato di sodio ottimo fertilizzante per i terreni tutt'ora utilizzato. 

In realtà, il metodo  Byrkeland-Eyde non ebbe una grandissimo successo dal punto di vista industriale... Ma questa è un'altra storia...


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