mercoledì 18 luglio 2012

Chimica e Fisica, un LEGAME indissolubile!!!


Prima di iniziare a mangiare la ciccia di questo articoletto è utile fare un aperitivo di “basi” di chimica.

  • Tutte le molecole sono composte da unità fondamentali chiamati atomi; 
  • Tutti gli atomi che formano una molecola, sono legati tra di loro con particolarifilichiamati legami; 
  •  Questifilipossono hanno lunghezze diverse misurate in angstrom (10-10 metri) 
  • La lunghezza dei legami intermolecolari tra un atomo e laltro è quasi sempre costante (un carbonio si lega ad un atomo di idrogeno sempre con un legame lungo minimo 1,06 massimo 1,12 Å; mentre con latomo di alluminio si lega sempre con un legame lungo 2,24 Å ecc.. );

Avendo ben chiari questi aspetti, (in caso contrario potete rivederlo meglio qui, qui, e qui...) Iniziamo a mettere sotto ai denti qualcosa di “solido”...

Grazie ed un grandissimo fisico, Louis de Broglie, si arrivò (dopo una innumerevole serie di passaggi scientifici) a dire che gli atomi erano tutt’altro che fermi, anzi, vibravano alla grande! Ovviamente, sempre nell’intorno della loro posizione di equilibrio e in maniera impercettibile. 

Anche gli atomi di una molecola vibrano, di conseguenza anche il legame di una molecola che lega questi atomi, sebbenefrenandoliun podeve assecondare questa loro vibrazione. Il legame come ce lo si era immaginato fino a quel momento, quindi, non poteva soddisfare questa condizione. Fu così che i fisici consigliarono ai chimici una nuova  “visione:




- e se anziché vederlo come un bastoncino rigido, lo vedessimo come una molla?-
 

Si, avete letto bene, una molla! Perché no? Una molla che mantiene uniti i due atomi, non facendo venir meno il concetto dilegame, ma che è anche in grado di dare quella libertà che basta agli atomi stessi di vibrare.




? Ma tutto questo cosa c'entra con i legami, con la chimica e con la fisica?

Calma calma, ora ci arriviamo.
La visione del legame come una molla, comporta il fatto che questo legame possa allungarsi e accorciarsi, proprio come una molla normale, semplice no?
Apparentemente si, approfondendo un po' il discorso noterete che la semplicità scema per lasciare posto, non alla difficoltà ma alla precisione.
Essendo equiparato ad una molla anche per i legami esiste:
  •   Uno stiramento massimo che il legame può raggiungere. Potremo allontanare due atomi fino ad un certo punto e non all'infinito, ovvero potremo allontanarli finché il legame-molla non raggiunge il suo limite di deformazione elastica;
  • Una compressione minima che il legame può raggiungere. Potremo avvicinare due atomi fino ad un certo punto, ovvero finché il legame-molla non raggiunge il suo limite di compressione; 
  •  Una posizione di equilibrio per la quale il legame-molla, si trova “a riposo”.


Mentre per le molle vere e proprie questi “limiti” è possibile verificarli anche sperimentalmente, per i legami è un po' più difficile, ma non impossibile...

Da cosa dipendono questi limiti? Per le molle, ovviamente dal materiale che si “appende” o dalla forza di compressione che si esercita all'estremità. Per quanto riguarda i legami questi limiti dipendono, di fatto, da un solo fattore: il tipo di atomo posti alle estremità di questo.

Mai come in questo caso, fisica e chimica si sono fuse e mutualmente scambiate informazioni. Il nostro punto di incontro si chiama “potenziale di Morse”, dal nome del fisico statunitense Philip M. Morse. Questo potenziale è un conveniente modello per rappresentare il comportamento dell'energia potenziale di una molecola biatomica e, in generale, ci viene in soccorso per capire in maniera semplice ma corretta come mai il legami fra due atomi sono proprio di quella lunghezza e non di un’altra e solitamente costante.


Morse, basandosi su quanto in maniera un po' confusa ho presentato fino ad adesso, stabilì che il legame inteso come una molla, altri non è che un oscillatore armonico quantistico.
Pertanto due atomi possono essere posti a diverse distanze tra di loro, dal molto distante (per non parlare dell'infinitamente distante) al molto vicino.



Più due atomi sono lontani maggiore è la possibilità che si superi il “limite di deformazione elastica” e il legame si “rompa” (coppie di atomi spostati a dx del grafico) Più due atomi sono vicini, maggiore è la possibilità che si superi il limite di compressione del legame e quindi il legame nemmeno si formi (a causa della repulsione di carica). Due atomi messi ad una determinata distanza, fanno verificare la situazione di equilibrio del legame. Mettendo questi punti su un grafico cartesiano otteniamo una curva più o meno così:



Nel punto in cui la curva forma una sorta di cuspide si ha l'equilibrio e quindi il legame-molla si forma. Spostandosi verso destra lungo la curva il legame si “disgrega” per un eccessivo allontanamento degli atomi, spostandosi invece verso sx, la disgregazione avviene per un eccessivo avvicinamento e quindi per repulsione.

Di seguito si può osservare un grafico in cui vengono confrontati gli andamenti della curva di Morse e la curva teorica dell'oscillatore armonico.


Abbiamo finalmente capito (spero!) grazie alla fisica e alla chimica,  perché  i legami si formano e soprattutto perché hanno sempre (circa!!!) la stessa lunghezza!!!
Abbiamo anche gettato le basi per iniziare a capire il funzionamento della spettroscopia IR, ma questa è un'altra storia...





domenica 8 luglio 2012

Carnevale della chimica#19 la chimica del suolo: I FERTILIZZATI, ovvero come tutto ebbe inizio...


Con l'avvento della “nuova” società, dalla seconda metà del XIX secolo, anche in agricoltura, come già avvenne tempo prima per l'industria e l'economia, entra prepotentemente nella scena la "rivoluzione della chimica". Il “fare profitto” e “produrre massivamente”, però, non si accompagnava al settore rurale, sopratutto in ambiti, come l'Italia, in cui l'arretratezza delle tecnologie contadine si faceva sentire in maniera pesante. Si rese perciò necessario introdurre anche in questo settore degli “espedienti” che potessero migliorare di molto la “resa” dei terreni e dei campi.
Di certo la rotazione triennale dei campi, basata fondamentalmente sulla fissazione dell'azoto ad opera di batteri e piante sopratutto leguminose, non rappresentava un cavallo da battaglia per la creanda coltivazione intensiva. Subito si capì che era necessario ricorrere ad altri metodi per fertilizzare i suoli in maniera massiva e molto più efficiente. Il primo ad intuire ed interpretare questo “bisogno” dei terreni fu Justusvon Liebig, un chimico (...te pareva!) tedesco dalla storia moltocuriosa. Chimico di formazione, ma anche biochimico, biologo e agronomo  per necessità ed intelletto, fu proprio questo curioso personaggio che intuì per primo la necessità di “introdurre” azoto nel terreno al fine di renderlo più fertile e di rimbalzo più produttivo. Tutta la scienza agronomica si orientò quindi verso questo “dogma” presentato da Liebig. 

Il problema che nacque subito dopo fu la maniera di reperire l'azoto, al fine di trasformarlo con alcuni processi chimici ed ottenere il necessario per produrre fertilizzati agricoli. Mai come in questo caso si addice il proverbio per cui “si fa di necessità virtù”. Tutto il mondo agronomico, come era prassi fare si rivolse alla chimica per trovare una soluzione. Fu così che alcuni chimici iniziarono a rispolverare una parte di lavori svolta dal grandioso Cavendish, il quale nel 1781 bruciando idrogeno in aria, ottenne l'acqua sintetica che conteneva sensibili quantità di acido nitrico.  Nel 1786, sempre l'inglese, facendo scoccare rapidamente delle scintille elettriche, ottenute con l'ausilio di una macchina elettrostatica, in un recipiente contenente aria e un eccesso di ossigeno, constatò che tutto l'azoto presente nell'aria si era combinato con l'ossigeno. 
Fra questi chimici ve ne fu uno di particolare rilievo, inglese anch'esso, sto parlando di William Crookes. Crookes, con l'energia elettrica, ci sapeva fare, e la conosceva molto bene, per questo motivo, non gli fu difficile, constatare nel 1892, riprendendo le osservazioni di Cavendish, che l'azoto si combina perfettamente con l'ossigeno mediante l'impiego di un arco voltaico. Ottimo!, si pensò, il modo di produrre azoto industrialmente è nostro! Ottimo, ma un po' meno di ottimo, perchè si pose il grandissimo problema che, ai fini “laboratoriali” l'arco voltaico era facile e non dispendioso da produrre, ma la resa era davvero bassa, per traslare il processo dalla piccola alla grande scala era necessaria una grandissima quantità di energia elettrica.
Persino Walther Hermann Nernst ( si... quello dell'equazione e del filamento...) trovò la strada sbarrata alla produzione dell'azoto quando nel 1896 la ditta Siemens-Halske di Berlino tentò un'applicazione industriale del processo, senza riuscirvi. Ma del resto si sa, nelle scienze e nella chimica sopratutto le componenti necessarie sono l'accuratezza, il genio, la pazienza. Quest'ultima fu di grande importanza, perchè nel 1905, con lo sviluppo di nuove tecnologie, due norvegesi, il professor Byrkeland e l'ingegner Eyde: nel maggio di quell'anno, a Notodden, misero in funzione uno stabilimento che produceva HNO3, e da quello sostanze azotate, a partire dall'aria.
Il ragionamento e le reazioni chimiche alla base di tutto sono i seguenti:
  1. L'aria è un miscuglio di azoto (78%) e ossigeno (21%);
  2. Sfruttando l'arco voltaico è possibile combinare azoto e ossigeno per formare ossido nitrico;
  3. L'ossido nitrico poi reagisce ancora con ossigeno per dare biossido di azoto;
  4. Il biossido di azoto, assorbito in acqua, dà acido nitrico.




Il forno Byrkeland-Eyde per l'ossidazione dell'azoto atmosferico consisteva in un grosso tamburo di materiale refrattario (chamotte) rivestito di lamiera di ferro, Al centro del quale sono affacciate a circa 10 mm le estremità di due elettrodi cavi di rame, Tra gli elettrodi si produce un arco voltaico, alla tensione di 5000 V alternati, che sotto l'azione di due potenti elettromagneti viene allargato in forma di disco, chiamato sole elettrico, dal diametro di circa due metri. L'aria atmosferica aspirata entra nella camera del forno, costretta ad attraversare l'arco elettrico ad altissima temperatura (3000°C). Parte dell'azoto si combina con l'ossigeno per dare l'ossido nitrico. I gas in uscita dal forno vengono raffreddati per evitare la decomposizione di NO in azoto e ossigeno; successivamente NO era ossidato a NO2, veniva poi introdotto in torri di assorbimento di granito riempite di quarzo nelle quali pioveva acqua per formare l'acido.

 (CHIEDO DAVVERO PERDONO PER LA TAMARRAGGINE DI QUESTO VIDEO, ma bisogna riconoscere che si vede davvero bene il sole elettrico e l'acido nitrico nascente!)
Secondo quanto descritto, le reazioni sono
  • N2 + O2 → 2NO
  • 2NO + O2 → 2NO2
  • 3NO2 + H2O → 2HNO3 + NO
Si arrivò in questo modo a produrre acido nitrico, ovvero azoto disponibile per il terreni da fertilizzare. Successivamente l'acido nitrico veniva fatto reagire con sali contenti sodio, al fine di ottenere il sale Nitrato di sodio ottimo fertilizzante per i terreni tutt'ora utilizzato. 

In realtà, il metodo  Byrkeland-Eyde non ebbe una grandissimo successo dal punto di vista industriale... Ma questa è un'altra storia...